Cristoforo Giarda
Cristoforo Pietro Antonio Giarda (1595-1649), monsignore barnabita, predicatore, storico, letterato ed insigne moralista, ultimo Vescovo del Ducato di Castro.
Nacque a Vespolate il 21 settembre 1595 da Giovanni Giacomo, piccolo possidente terriero, e Margherita Caccione. Capostipite della famiglia può essere forse considerato Bartolomeo de Giardis, console di Vespolate a metà del XV secolo, citato negli atti del processo per infanticidio a Giovannina Bovarini. Tale Bartolomeo, pur non essendo di stirpe nobiliare, nella sua qualità di console aveva un ruolo di una certa importanza e distinzione; con ogni probabilità si deve a lui l’adozione dello stemma di famiglia, caratterizzato dal simbolo di una chiave al centro, che sarà usato anche dai suoi successori. Il cognome Giarda è tutt’ora presente a Vespolate ed in altri comuni novaresi.
Battezzato come Pietro Antonio dall’allora parroco Don Andrea Rabattino, sentì presto la vocazione religiosa, spinto dalla famiglia e dall’esempio del vescovo Carlo Bascapè. A sedici anni entrò nel collegio dei Padri Barnabiti San Barnaba di Milano ed il 25 gennaio 1612 iniziò il suo noviziato a Monza scegliendo il nome di Cristoforo inteso come “portatore di Cristo”. La sua vocazione era infatti maturata con l’intenzione di diffondere la dottrina Cattolica al fine di contrastare le infiltrazioni protestanti provenienti dalla Svizzera.
Compì gli studi a Milano e Pavia ed in seguito alla sua ordinazione a sacerdote, avvenuta a Lodi il 14 marzo 1620, fu inviato a insegnare retorica presso il nuovo collegio barnabita di Montargis in Francia. Dopo tre anni rientrò a Milano per assumere il ruolo di docente nel collegio di Sant’Alessandro.
In questi anni pubblicò le sue due prime opere: una meditazione sulla vita religiosa denominata “Apis religiosa…” (1625) ed un testo di iconologia dal titolo “Bibliothecae Alexandrinae icones symbolicae” (1626), che gli permisero di guadagnandosi la stima e l’ammirazione di molte personalità della chiesa e del Cardinale Francesco Barberini, nipote del Pontefice Urbano VIII. Queste relazioni ebbero risvolti positivi sulla carriera del Giarda che però aveva solo l’ambizione di continuare i suoi studi, lasciò quindi l’insegnamento a Milano per dedicarsi ai libri ed alla predicazione.
Nel novembre del 1626, dopo aver trascorso alcuni mesi a Bologna, si trasferì a Roma dove trascorrerà il resto della sua vita. Qui ricoprì le cariche di preposto della chiesa di San Paolo alla Colonna (1631-34), di San Carlo ai Catinari (1635-39 e 1644-45) e di padre provinciale della Provincia Romana (1641-44). Fu anche direttori dei lavori della chiesa di san Carlo, in quegli anni ancora in costruzione, risolvendo una lite che aveva bloccato il cantiere e permettendo l’ultimazione dell’abside, della facciata e del maestoso altare maggiore, oltre all’ampliamento del vicino collegio.
Nel 1629 il padre generale Eliseo Torriani affidò al Giarda l’incarico di redigere la storia ufficiale della Congregazione del barnabiti, opera che rimarrà incompiuta a causa dei numerosi impegni assunti contemporaneamente e della sua prematura scomparsa. Nel 1644 il nuovo Papa Innocenzo X lo nominò “qualificatore della sacra congregazione dell’Indice” e “consultore della congregazione del Cerimoniale dei vescovi”.
Nel 1645 gli fu affidato l’incarico di promuovere la causa di beatificazione di Francesco di Sales e di redigerne la prima biografia in italiano, lavoro al quale si dedicò alacremente. Nel 1948, insieme all’abate Gabriel de Besançon, pubblicò il “Compendio della vita del venerabil servo di Dio monsignor Francesco di Sales”, riassunto delle biografie francesi del Sales.
Il 17 aprile 1648 papa Innocenzo X lo nominò Vescovo di Castro, piccola diocesi situata nell’attuale provincia di Viterbo, al confine con la Toscana, dove da anni durava una situazione assai delicata a causa di un contrasto che opponeva i Farnese, feudatari locali, al Papato. Pur non avendo alcuna ambizione a diventare vescovo il Giarda accettò, ritenendo che probabilmente non sarebbe mai riuscito ad entrare in possesso della diocesi e che quindi avrebbe potuto restare a Roma per continuare il suo lavoro in favore della beatificazione del Sales. Il giorno della pentecoste di quell’anno ricevette la consacrazione episcopale nella chiesa di San Carlo ai Catinari.
Il duca Ranuccio II Farnese, che non stato interpellato nella decisione, per voce del suo primo ministro Gaufrido giudicò la scelta del Papa una provocazione e proibì l’ingresso in città al nuovo vescovo. Il Giarda, dopo aver scritto lettere al duca e tentato invano di essere ricevuto dall’ambasciatore di Parma, aspettò quasi un anno sperando in una soluzione diplomatica della controversia. Alla fine Innocenzo X gli ordinò di partire ugualmente, convinto che alla peggio il Giarda non sarebbe riuscito ad entrare a Castro e avrebbe potuto stabilirsi nella vicina città di Acquapendente.
Il 18 marzo del 1649 Monsignor Giarda partì da Roma diretto a Castro con il presentimento di andare incontro alla morte ma rifiutando ugualmente la scorta armata. La sera, nei pressi di Monterosi (35 km a nord di Roma), fu vittima di un agguato portato a termine da due sicari; ferito gravemente da quattro colpi di archibugio fu trasportato in una vicina osteria ma, nonostante le cure di due medici, morì la mattina del giorno seguente (19 marzo) esprimendo il desiderio che il papa perdonasse i suoi uccisori. Inizialmente sepolto nella chiesa di Monterosi, il 29 marzo il suo corpo venne trasportato a Roma nella Chiesa di San Carlo ai Catinari.
Da questo episodio ebbe origine la seconda guerra di Castro: Innocenzo X fece invadere il ducato e radere al suolo l’intera città; la sede episcopale fu trasferita ad Acquapendente. I due esecutori materiali dell’omicidio furono catturati e giustiziati, mentre Ranuccio II negò ogni sua responsabilità scaricando la colpa sul primo ministro Gaufrido e facendolo condannare a morte.
I barnabiti, per evitare di inimicarsi i Farnese, non vollero dare troppo rilievo alla scomparsa del Giarda e nel 1650 bloccarono sul nascere anche la proposta della sua beatificazione.
Nel terzo centenario dalla sua scomparso il suo nome fu ricordato, insieme a quello della nobildonna sua madre Angela Donna D’Oldenico, da una lapide affissa all'ingresso laterale della chiesa parrocchiale. Gli sono stati inoltre intitolati una via del paese e l'oratorio parrocchiale.