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Pieve di San Giovanni Battista

La Pieve di San Giovanni Battista
Scheda monumento
Indirizzo S.P. 8 Vespolate-Tornaco
Stile Romanico
Periodo XI secolo
Condizioni Discrete
Proprietà Ecclesiastica
Visitabile Si
Apertura In determinati eventi
Costo Nessuno

La romanica Pieve di San Giovanni Battista del XI secolo è situata appena fuori dall’abitato nei pressi del torrente Arbogna, lungo l’antica strada che uscendo dal paese portava a Tornaco[1].
Profondamente rimaneggiata nel corso dei secoli appare oggi come un modesto edificio di forma quadrangolare, quasi insignificante a dispetto della sua storia millenaria. L'abside semicircolare, unica parte rimasta immutata, è ornata esternamente da archetti pensili a coppie. La facciata è rivolta ad occidente mentre un piccolo campanile è collocato sul lato meridionale, alle spalle di una piccola cappella-ossario. Addossato alla parete nord, opposto al campanile, si trova un locale con funzione di sacrestia.
In origine la chiesa era a tre navate[2], dotata di un battistero e circondata dal cimitero.
All'interno sono conservate preziose testimonianze artistiche della pittura novarese dal XIV al XVI secolo, in particolare del XV secolo.

Cenni storici

Sulla base di alcuni resti rinvenuti in zona si presume che la chiesa sia stata costruita su un sito o necropoli di epoca precedente, forse sulle rovine di un tempio pagano dedicato al Dio Giove e alla dea della caccia Diana[3]. Furono inoltre rinvenuti anche lastroni in terracotta, vasi di vetro, monete romane e pezzi di ferro arrugginiti a testimoniare che probabilmente in questo luogo esisteva un primitivo nucleo di case[4].

La Pieve nel 1997

La prima testimonianza scritta riguardo la Pieve risale al 1024 quando venne donata al Monastero di San Lorenzo in Novara da Pietro III, vescovo della diocesi dal 993 al 1032, insieme ad altre terre da egli possedute. Una più antica menzione potrebbe essere quella trovata in un documento del 1009, relativo alla permuta di beni tra Pietro III e tal Vario del fu Grosone, dove compare la dicitura «ecclesia plebis santi ioanni» senza ulteriori specificazioni. Successivamente venne nominata in una Bolla di Papa Innocenzo II nel 1132-33[5] quando rientrò in possesso della Chiesa novarese.

Nella Bolla la chiesa di San Giovanni era già indicata come "Pieve"[6] e da essa dipendevano undici cappelle che si trovavano in un vasto territorio che comprendeva il basso novarese e parte della Lomellina, fino a Vigevano. I fedeli di questi paesi dovevano far riferimento alla pieve di Vespolate per la celebrazione dei sacramenti ed in particolar modo del battesimo. Si trattava quindi di una chiesa relativamente ricca.

La Pieve vista dalla stazione ferroviaria

Dalle “Consignationes” del 1347[7] risulta che era la chiesa officiata quale parrocchia del borgo ed aveva ancora il titolo di pieve; il parroco aveva la qualifica di arciprete e si chiamava Pietro de Vespolate (probabilmente un cognome in uso nell’epoca). Nell'anno 1361 venne gravemente danneggiata durante la guerra tra Galeazzo II Visconti ed il marchese del Monferrato, Giovanni II. Questi, per difendersi dai duchi di Milano, assoldò migliaia di soldati mercenari (principalmente inglesi), conosciuti con il nome di "Compagnia Bianca", che tra il 1361 ed il 1363 attaccarono invadendolo buona parte del basso novarese. Galeazzo Visconti come difesa applicò la tecnica della “terra bruciata” e dette fuoco al paese per evitare che il nemico si impadronisse dei suoi beni e ne traesse sostentamento. In questa occasione, oltre al danneggiamento del tetto e delle suppellettili, il battistero venne completamente distrutto e può darsi che stessa sorte subirono le abitazione che sorgevano nelle vicinanze.

Nel corso del XV secolo venne riccamente affrescata ma nello stesso periodo le funzioni religiose iniziarono a svolgersi nell’oratorio di Sant’Antonio, al centro dell’abitato, più comodo per i fedeli di quello che era già un borgo molto popoloso. In seguito l’oratorio venne trasformato nell’attuale chiesa che nel 1543 tolse a San Giovanni il titolo di parrocchiale. Iniziò così l’abbandono e la decadenza che segnarono la pieve per i secoli successivi.

Nell'anno 1590, durante la visita del vescovo Cesare Speciano, doveva già versare in cattive condizioni tanto che costatandone e descrivendone lo stato egli ordinava «di render solidi e sicuri i muri specie delle due navi laterali: si mettano i sigilli in pietra ai sepolcreti interni della chiesa; si tenga chiuso il cimitero[…]». Dalla sua descrizione[8] sappiamo che era ancora a tre navate con i tetti in coppi, tranne la navata meridionale che era coperta da lastre; esisteva una seconda porta di accesso sul lato meridionale oltre a quella in facciata e vi erano forse i resti di un’antica torre campanaria, distrutta in epoca e circostanze sconosciute (forse sempre nel 1361). Intorno alla chiesa sorgeva ancora il cimitero.

La cappella-ossario con facciata neoclassica

Nel 1625 venne interdetta al culto e nello stesso periodo furono distrutti gli altari. Sempre nel Seicento si tamponarono le finestre laterali cercando invano di risolvere il problema delle infiltrazioni mentre verso la fine del secolo furono aperte le due finestrelle semicircolari in facciata.
Il campanile, risalente al 1680, fu costruito inglobando la parete dritta che chiudeva ad ovest la navata meridionale. Al termine del secolo l’edificio risultava completamente restaurato.

Nel settecento la navata sinistra fu divisa in due e nella zona absidale fu ricavata la sagrestia. Nel corso del secolo la chiesa venne nuovamente abbandonata ed interdetta ed in questo periodo vennero abbattute le navate laterali. A ridosso del campanile, dove si trovava la testa della navata meridionale, fu costruita una cappella-ossario, oggi chiusa da una cancellata in ferro battuto; vennero quindi esumate le ossa dal vicino cimitero ed alcuni teschi furono collocati in cassettine all’interno dell’ossario, mentre il rimanente fu sotterrato nel cimitero della SS. Trinità e di S. Antonio Abate. Il cimitero della pieve cessò così di esistere.
Altri importanti interventi di restauro furono compiuti nel 1728, con la sopraelevazione e rifacimento del tetto (come riportato in un’incisione su uno degli affreschi), e nel 1849, col rifacimento della facciata, alterando profondamente l'antica struttura romanica dell’edificio, anche sotto l'aspetto degli equilibri degli spazi.

La casa del custode a fianco alla chiesa

Nel 1956, su disegno dell'architetto Alfredo Rosati, vennero rifatti il soffitto, il pavimento in cotto e tolta la cancellata in legno alta due metri dell’altare, sostituita da una balaustrata in marmo. Venne demolito il portichetto barocco esistente sul lato nord e si decise inoltre l’abbattimento della casa dell’eremita[9], un edificio a due piani addossato al retro della chiesa, responsabile di causare umidità agli affreschi dell’abside, rimettendo così in luce gli archetti pensili esterni[10]. In sostituzione fu edificato un nuovo stabile a lato della chiesa, ad opera dalla Cooperativa muratori di Vespolate, tutt’ora esistente.

Di fronte alla chiesa si trova una piccola area verde dove nel 1958 fu eretto un cippo con una statua raffigurante il santo patrono.

La chiesa, dichiarata nel 1908 monumento nazionale, rimane generalmente chiusa durante l'anno e viene aperta solo in occasioni speciali, quale la festa patronale del 24 giugno.

Struttura dell’edificio

Pianta dell'edificio (Mercalli)

Diverse caratteristiche strutturali, come la muratura, l’impianto incerto, la partitura delle lesene absidale con funzione ancora strutturale e la larghezza degli archetti pensili, sono assimilabili a quelli di altre chiese protoromaniche piemontesi e lombarde datate intorno al primo trentennio del XI secolo. La costruzione dell’edificio si può quindi far risalire a questo periodo.

Patricolare della struttura muraria

La struttura muraria, che appare a sud sotto le scrostature del pesante intonaco, è costituita principalmente da frammenti di cotto e sasso disposti a spina di pesce, legati tra loro da abbondante malta; gli archi di comunicazione sono realizzati con mattoni disposti irregolarmente di taglio a raggiera.
Le tre navate erano coperte da tetto in legno e terminavano con absidi semicircolari senza presbiterio, tranne la navate meridionale a cui era addossata la parete dritta del campanile. Due coppie di archi a tutto sesto, posanti su pilastri a sezione rettangolare, formavano delle campate irregolari. Nel Settecento, con l’abbattimento delle navate laterali, gli archi furono tamponati ma se ne possono ancora chiaramente distinguere le forme.

La facciata era probabilmente del tipo a falda spezzata, secondo lo schema basilicale. Nel 1849, in seguito alla scomparsa delle due navatelle, fu rifatta in stile neoclassico, arretrandola di una trentina di centimetri. Durante i lavori del 1956 fu sopraelevata modificando la conformazione del timpano. Anche la facciata della cappella-ossario è stata probabilmente arretrata e ricostruita in stile neoclassico a metà dell’Ottocento.

Lo scomparso battistero era probabilmente una semplice vasca a livello del terreno, alimentata da un piccolo fontanile. Sulla sua ubicazione si sono formulate varie ipotesi: secondo alcuni sorgeva all’interno o a lato della navata sinistra mentre secondo altri era di fronte alla chiesa.

Monofora sopra la cappella-ossario

La parete meridionale è decorata esternamente da una serie di archetti, prolungati con lesene fino a mezza altezza a formare sei suddivisioni leggermente asimmetriche. La fattura di questa decorazione è successiva all’abbattimento della navata. Nel secondo e nel quinto spazio si trovano delle finestre rettangolari aperte probabilmente nella prima metà dell’Ottocento, mentre nel terzo, più largo, troviamo un affresco deteriorato che ci indica l’altezza del soffitto della navata laterale (vedi oltre per la descrizione). Sempre sul lato sud, nascosta sotto l’ossario, si trova un’antica monofora a doppio strombo, realizzata in mattoni disposti a raggiera, uniti da un sottile strato di calce.

La parete settentrionale ed il locale sagrestia

Diversa la suddivisione del lato nord dove gli archetti sono scomparsi e due sole lesene (una delle quali mozzata) suddividono la parete in 3 spazi di diversa larghezza: ai lati campeggiano due finestre simmetriche a quelle del lato sud mentre al centro si apre una monofora strombata risalente forse alla costruzione della chiesa. Verosimilmente una monofora identica era presente anche sulla parete opposta con la funzione di illuminare la navata maggiore.

Lato absidale della chiesa

L’abside maggiore semicircolare è ancora costituita dalla muratura originale; è suddivisa dalle lesene in sette specchiature, coronate da archetti pensili binati, interamente ricoperti da intonaco. Al centro si apriva probabilmente una monofora, mentre del secondo campo a partire da sud si distingue la porta murata che fino agli anni ’50 metteva in comunicazione la chiesa con la casa dell’eremita. L’abside della sagrestia non presenta invece elementi decorativi; anche qui nel corso del XIX secolo sono state aperte ampie finestre.

L’interno è stato stravolto nei rapporti spaziali dall’evidente rialzo del tetto e dal probabile riempimento del pavimento.
Sulla parete del campanile confinante con la cappella è ancora visibile l’originale muratura in cotto a spina di pesce.

Opere artistiche

Scorcio interno della chiesa

A dispetto della sua modesta architettura, la chiesa custodisce preziose testimonianze artistiche della pittura medioevale: gli affreschi che vediamo oggi sono perlopiù databili al XIV e XV secolo, ma è assai probabile che siano solo l’ultimo livello di varie sovra pitture prodotte a partire dal XI secolo. Alcuni tratti della decorazione duecentesca sono visibili in più punti della chiesa.

Pala d'altare

Notevole e singolare è la quattrocentesca pala dell'altare, di autore ignoto, da taluni attribuita al Maestro (o "Anonimo") di Borgomanero. Si tratta di una pala isolata costruita in muratura, uno dei rari esempi esistenti del novarese, con forma a capanna, suddivisa in due spazi incorniciati da elementi in cotto
Nel timpano è dipinta la scena dell’annunciazione con la Vergine e l’Angelo posti davanti ad un grande castello turrito. Nell’opera si dimostra già un sapiente utilizzo della prospettiva derivato dalla scuola toscana. Ai lati sono dipinti due stemmi in una cornice quadrilobata, quello di sinistra mostra sullo scudo un rozzo cavallo dalla forme taurine, mentre quello di destra era in origine bianco e azzurro.

La pala d'altare
Particolare dell'affresco della pala d'altare

Il grande affresco nella parte inferiore raffigura un'incantevole Madonna seduta in trono tra quatto santi: San Maiolo (o San Gaudenzio) e San Giovanni Battista alla sinistra, San Giovanni Evangelista e San Francesco d'Assisi alla destra.
La Vergine, con diadema in capo, è coperta d'un grande manto e regge in grembo Gesù Bambino completamente nudo, il quale alza la destra per benedire un signore prostrato a suoi piedi col cappello in mano (il committente dell'opera), mentre Lei, con atto materno di protezione, pone la sua mano sul capo dell’uomo; a lato della Madonna il battezzatore San Giovanni Battista con una mano mostra la scritta “Ecce Agnus Dei” e con l'altra lo accompagna nella prostrazione.
Il personaggio del committente è convenzionalmente identificato con il nobile Giovanni Cavallazzi della potente casata nobiliare dei Cavallazzi, sulla base dello stemma che figura del timpano. Altri studiosi però asseriscono che si tratti di Donato Borri, feudatario di Vespolate tra il 1457 ed il 1477.
Diversamente dalle altre figure del dipinto egli appare curiosamente bianco, solamente abbozzato con la tecnica della sinopia; pare infatti che il dipinto sia stato volontariamente lasciato incompiuto dall’artista che non colorò l’ultima campitura, anche se non ci sono note le cause; si suppone un litigio con il committente forse a causa del compenso. Questa ipotesi è dettata dal fatto che l’animale nel stemma sia stato volutamente ritoccato in modo da apparire come la caricatura di un cavallo; inoltre il Cavallazzi era noto per la sua tirchieria (fonte orale). Comunque si siano svolti i fatti questa opera, oltre all’indubbia bellezza estetica, rappresenta anche una straordinaria ed originale testimonianza storica.
Il dipinto appare ancora in discreto stato di conservazione; le tinte del cielo, delle piante e del manto della Madonna che oggi vediamo color bitume, erano in origine blu e verdi.

Recenti studi hanno evidenziato che l’opera si trovava inizialmente in un’altra zona della chiesa, forse in testa alla navata sinistra o sopra un altare laterale, e potrebbe essere stato spostato in seguito all’abbattimento delle navate staccandolo dal muro su cui sorgeva. Si può infatti notare come le figure siano tagliate ed è quindi evidente che l’affresco è stato rimpicciolito per permetterne la collocazione sotto la volta absidale. L’altare sottostante, simile a quello dell’oratorio della SS. Trinità, è di epoca barocca e risale alla prima metà del Settecento. Alcune modifiche vi sono state apportate nei restauri degli anni ’50.

Affresco della Madonna con Bambino tra i Santi del Cagnola
Affresco del cavaliere-arcangelo
Parete sinistra

Un altro grande affresco della Madonna col bambino, datato 1479, è dipinto sulla parete di sinistra; l’opera è attribuita alla bottega di Tommaso Cagnola, importante pittore attivo nel novarese tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento[11]. Anche qui la Vergine si trova al centro del dipinto, seduta in trono e ricoperta da un ampio manto, col Bambino nudo in piedi sulle sue ginocchia. Ai lati, da sinistra a destra, le figure di San Pietro Apostolo, del Beato Matteo Carrisi di Vigevano, di San Bernardino da Siena e di San Paolo Apostolo[12]. Nonostante appaia ancora ben conservato l’integrità del dipinto è continuamente a repentaglio a causa dell’umidità della parete su cui sorge e della finestra che lo sovrasta; si possono riconoscere alcuni interventi di ritocco soprattutto sulla veste della Madonna. Poco al di sotto dell’affresco troviamo traccia di una pittura decorativa del XIII secolo.

Sempre sulla parete sinistra troviamo l’effigie di un bel cavaliere, con spada, manto, corazza ed una candida espressione del volto, forse identificabile con l'arcangelo Michele, sebbene privo di ali. La datazione di quest’opera è incerta: per alcuni risale al XV secolo mentre altri sostengono sia più tardo, tra il Cinquecento ed il Seicento. Tenendo presente però che la chiesa perse il titolo di parrocchiale a metà del XVI secolo, è improbabile che furono eseguite nuove opere pittoriche oltre tale data. Sui piedi della figura, sproporzionati rispetto al resto del corpo, si evincono segni evidenti di un tentativo di restauro compiuto in epoca successiva.

Affresco raffigurante Sant'Andrea

Risale al XV secolo anche il Sant'Andrea raffigurato sul lato sinistro del presbiterio, presso la porta della sacrestia, molto deteriorato e mancante di tutta la parte centrale; al di sotto dello strato di intonaco emerge traccia di un dipinto più antico, si tratta di una croce rossa bordata di giallo, databile al XIII secolo. Sul lato opposto è parzialmente visibile un’altra figura, attribuibile forse alla scuola del Cagnola: la parte superiore è ancora nascosta sotto la calce ma un’analisi ha permesso di ritracciare in punto in cui si trova il volto.

Parete destra
San Biagio e tracce di altre pitture seminascoste sulla parete medionale

Sopra la porticina di accesso al campanile è rappresentato un San Biagio martire, riconoscibile dal cardo[13] che regge in mano; poco più a destra troviamo tracce di altre figure e di una donna in prostrazione, probabilmente facente parte di un unico grande affresco pressoché corrispondente a quello sul lato opposto. Anche qui possiamo rintracciare alcune decorazioni più antiche affioranti da uno strato sottostante di intonaco.

La parete meridionale non presenta altri affreschi ma è molto probabile che sul pilastro tra le due arcate si celi un’altra figura, contrapposta a quella della parete di fronte, che potrebbe rappresentare l’arcangelo Gabriele.

Abside

Il catino absidale doveva essere in origine interamente ricoperto di affreschi, alcuni dei quali sono stati riportati alla luce in seguito a restauri compiuti negli anni 1989-90: procedendo da sinistra verso destra distinguiamo:

Affreschi trecenteschi dell'abside
  • Una Madonna della Misericordia a braccia aperte con delle figure più piccole ai suoi piedi;
  • Un personaggio benedicente identificabile con San Leonardo per la catena che regge in mano[14];
  • Una Madonna del Latte;
  • Una probabile adorazione dei Re Magi, anche se le figure presentano dei tratti femminei.

Le prime due opere sono collocabili presumibilmente tra il 1330 ed il 1340 mentre recenti indagini sui pigmenti hanno evidenziato un origine cinquecentesca delle altre due pitture, nonostante la loro fattura elementare possa fa credere di essere più antiche (fonte orale)[15]. Nella parte superiore, al di sotto della pittura a tempera con motivo stellato, risalente all’Ottocentesco, si ipotizza possa nascondersi la sagoma di un grande Cristo Pantocratore, come riferito da un documento (fonte orale).

Resto di pittura duecentesca dell'abside

La base dell’abside è parzialmente cinta da un coro in muratura e cotto. Al centro, nella nicchia in cui probabilmente era incastrato l’antico altare, si trova una lapide murata della famiglia Veggiotti datata 1600, qui posizionata quando fu rifatto il pavimento negli anni ’50; abbiamo infatti testimonianza che in precedenza si trovava presso la cancellata dell’altare. Sempre in questo punto possiamo vedere alcune bande orizzontali rosse che appartenevano all’antica decorazione duecentesca. Poco più a destra ritroviamo la porta murata che comunicava con la casa dell’eremita, aperta probabilmente nel Seicento danneggiando parte del coro e degli affreschi. L’intonaco della volta alle spalle dell’ancona è pericolante e presenta gravi distacchi causati dall’umidità.

L’arco trionfale e la parte alta delle pareti sono state dipinti con una cornice scura ed elementi architettonici, visibili in più punti sotto la calce bianca, che ci indicano l’altezza del soffitto prima degli ultimi rifacimenti. Questa decorazione a tempera fu eseguita verosimilmente insieme a quella della volta absidale nel corso del XIX secolo.

Esterno
Affresco della Crocifissione

All’esterno dell’edificio possiamo ancora osservare alcuni affreschi che si trovavano in origine sulle pareti delle navate laterali, mentre altri sono probabilmente andati perduti con l’abbattimento dei muri.

Sulla parete interna della cappella-ossario, in origine la testa alla navata meridionale, troviamo un considerevole affresco del Quattrocento: si tratta di una rara raffigurazione della Crocifissione con un Cristo nudo, attorniato da angeli in volo che ne raccolgono il sangue scaturente dalle ferite. Ai lati della croce sono fermi in piedi la Madonna e San Giovanni. L’opera versa purtroppo in stato di grave degrado e per proteggerla dai raggi solari è stato apposto recentemente un telo scuro di fronte alla cancellata. Sotto il dipinto si trovava l’altare in legno che conteneva l’ossario, staccatosi alcuni anni fa.

Immediatamente a destra della Crocifissione è visibile parte di un affresco raffigurante la Vergine in trono, firmato da Giovanni Antonio Merli, troncato dal muro laterale della cappella. Alzando lo sguardo in alto a sinistra si può osservare un moncone dell’antico arco che copriva la navata. La cappella è accessibile dall’interno della chiesa attraverso uno stretto passaggio.

Affresco esterno al centro della parete meridionale

Sulla parete meridionale alla sinistra dell’ossario possiamo distinguere alcuni tratti incisi che costituivano un affresco della Madonna seduta in trono mentre allatta il Bambino vestito, oggi completamente scomparso. Il solo contorno di un’altra Madonna del latte è visibile in un grande affresco al centro della parete meridionale. Dalla testimonianza di Don Ernesto Colli sappiamo che negli anni ’50 questi due affreschi erano già deteriorati ma ancora ben visibili; egli invocava un restauro urgente che non fu mai eseguito. La stessa sorte potrebbero subire le altre preziose opere conservate nella chiesa se non saranno svolti opportuni interventi di conservazione.

Le iscrizioni
Alcune iscrizioni sulla parete meridionale

Un’altra caratteristica peculiare della chiesa sono le numerose incisioni popolari che ricoprono i muri interni e gli affreschi, risalenti ad un periodo compreso tra l’inizio del XVII secolo e la metà del XX secolo. Molte di queste scritte, che rappresentano preziose ed originali testimonianze storico-culturali, sono state lasciate dagli eremiti che abitavano nella casa retrostante. Di seguito ne riportiamo alcune:

«1617 a dì 2 di lulio don Pietro di Toledo entrò in Vercelli con l’esercito regio»
«1656 li franzesi fermato (sic) a Mortara»
«1721 Xbre si mormorava che si dovesse venire il contagio»
«1734 fu padrone dello Stato di Milano S. M. Sarda con li franzesi»
«1736 di settembre l’Allemani hanno scacciato li franzesi dal Piemonte e Milanese»
«1764 a dì 11 agosto è venuto le tempeste grose come due solidi di pane»

Numerosi altri tesori della chiesa, che risulta oggi spogliata di tutti gli arredi, sono andati perduti nel corso dei numerosi furti compiuti negli ultimi decenni. Nella prima metà del secolo scorso erano ancora presenti due tele di buon autore che furono in seguito fatte restaurare dal parroco e sono conservate oggi presso la casa parrocchiale.

Galleria fotografica

Mura
Muro
Decoro
Pala d'altare
Stemma
Affresco
Abside
Abside
Abside
Abside
Lapide
Arco trionfale
Affresco
Tratti

Note

  1. ^ L’antica strada, in parte ancora esistente, passava a fianco alla chiesa ed entrava in paese pressappoco dove oggi si trova la stazione ferroviaria e via Rimembranza. L’attuale provinciale fu deviata verso sud poco prima della pieve quando fu costruita la linea ferroviaria, a metà dell’Ottocento: dopo aver scavalcato il torrente Agogna e attraversato il passaggio a livello, entra nell’abitato attraverso corso Mazzini.
  2. ^ L’architetto vespolino Gian Franco Mercalli, che studiò la Pieve per la sua tesi di laurea nel 1964, avanzò l’ipotesi che l’edificio fosse nato nel XI secolo come semplice oratorio a navata unica e solo nel XII secolo fu ampliato a tre, con l’apertura degli archi rompendo le pareti laterali. Questa teoria spiegherebbe alcune incoerenze tra cui la dimensioni della pianta, molto tozza per una chiesa e tre navate, o il non allineamento delle arcate, ma è stata smentita da recenti indagini.
  3. ^ In seguito all’evangelizzazione del territorio ad opera di San Gaudenzio e dei suoi successori, ai culti pagani si sostituirono quelli cristiani del battesimo, legato a S. Giovanni Battista, e della Madonna.
  4. ^ Pare che resti di necropoli furono trovati anche presso una vicina tenuta agricola, durante gli scavi per la posa di condutture del gas, ma la scoperta non fu divulgata.
  5. ^ Secondo altre fonti trattasi non di Bolla papale bensì del Vescovo novarese Litifredo.
  6. ^ Nel Medioevo, nell'Italia settentrionale, la Pieve era una chiesa rurale inserita in una circoscrizione ecclesiastica minore, da cui dipendevano altre chiese e cappelle, successivamente sostituita dalla parrocchia. (DeMauro Paravia)
  7. ^ Vedi Nota 5 nella pagina del Castello.
  8. ^ «Vetusta Ecclesia plebana est sub cuppis le due navate e la terza coperta di lastra. Abbastanza ampia, rivolta ad oriente, è consacrata e se ne celebra la festa il giorno di S. Maria Maddalena. Ha due porte d'accesso, una a mezzodì e l'altra in facciata. Cemeterium circundat dictarh ecclesiam a meridie, a sero et a monte, muro clausura cum sola porta a cui mancano i catenacci e la chiave. Turris campanilis est destructa. Si celebra raramente in essa, tranne nel giorno di San Giovanni e a richiesta dei fedeli[…]».
  9. ^ «Da secoli gli eremiti si recano alla parrocchiale in veste talare con facoltà di questuare nel distretto del vicariato» (Cassani-Colli, 1956)
  10. ^ Già alla fine del Settecento il pievano Gaudenzio Motti definiva questa casa indecente: «toglie la bellezza esterna dell’abside la quale per i continui stillicidi rende umida la bella tazza dell’abside la quale internamente è ricoperta di splendidi affreschi di Madonne, velate da un leggero strato di calce». Forse all’epoca erano ancora visibili affreschi che oggi sono nascosti sotto la calce.
  11. ^ In particolare la critica attribuisce l'opera al non meglio identificato Anonimo di Vespolate.
  12. ^ L’identificazione di questi santi varia notevolmente a seconda degli autori, nonostante i nomi siano indicati sull’affresco, anche se non sappiamo se tali scritte risalgano realmente ai tempi della realizzazione. Il Colli nel 1956 li descrive, da sinistra a destra, come San Pietro Apostolo, San Domenico, San Francesco, e San Paolo Apostolo, mentre Architetto Angela Malosso nel 1989 dichiara che si tratta di San Pietro, San Grato, San Bernardino e San Giulio. Per quanto riguarda i due apostoli l’iconografia (le chiavi per San Pietro e la spada per la San Paolo) ci conferma la loro identità, mentre qualche dubbio in più esiste sui due santi centrali.
  13. ^ Si tratta dello strumento per la cardatura dalla lana con cui il santo fu martirizzato.
  14. ^ Un'altra fonte lo identifica come San Bernardo d'Aosta (o da Mentone), morto a Novara nel XI secolo.
  15. ^ Secondo la datazione critica infatti essi risalirebbero alla fine del Trecento e sarebbero opera del Maestro della Madonna di Re.